Diario
10 gennaio 2009
Il mercato d'azzardo
L'80% dei gruppi finanziari italiano ha intrecci personali e azionari fra concorrenti, una percentuale senza paragoni in Europa. La denuncia arriva dall'Antitrust tramite l'indagine conoscitiva su banche, assicurazioni e società di gestione del risparmio, rilevando che l'80% dei gruppi esaminati ha nei propri organismi soggetti con incarichi in concorrenti. Secondo il garante, quindi, serve «un’attenzione alta sulla corporate governance» e occorre rivedere la governance per aumentare la trasparenza e recuperare la fiducia necessaria per superarare la crisi.
L'anomalia è tutta italiana, rivela l'Antitrust. È inesistente per le imprese quotate in Spagna e Olanda, interessa solo il 26,7% di quelle quotate a Parigi, il 43,8% di quelle tedesche e il 47,1% delle quotate a Londra.
La situazione, potremmo convenire con Ennio Flaiano, è grave ma non è seria, e non solo in Italia. Tuttavia nel conflitto epidemico, o pandemico, che - forse - ci siamo lasciati alle spalle, si può scorgere qualche sintomo di sano realismo.
Abbiamo vissuto per decenni in una bolla mediatica, non finanziaria o speculativa. Solo mediatica. Lo avrebbe capito anche un bambino stupido - ma innocente - che ogni festa è destinata a finire. Anche un’ossessione orgiastica si estingue.
E tuttavia ci sono tante persone serie che fanno seriamente il proprio lavoro, spesso ignare di quanto accade ai piani alti, già sufficientemente sbertucciati dal medesimo sistema mediale che ne consacra la più volgare miopia.
Un giorno i reality, che snobbisticamente non guardo, saranno rivalutati come categoria satirica sopraffina. Un Satyricon contemporaneo: non nascondono nulla del simulacro, o del colosseo mediale. Ovvero il cafonal continuo registrato da Pizzi&Dago.
La speranza è coltivata da quei milioni e milioni di persone che, nel mondo, per i più svariati, talvolta inconfessabili motivi, tirano la carretta, fanno figli, potendo si divertono, creano saperi e strade nuove - mai tante come in questo scorcio di secolo appena ai primi vagiti. E non confondono la propria esistenza con il buco della serratura in cui scorgere, non visti, una interminabile carrellata di Cronaca vera patinata.
E per la prima volta da molti decenni c’è – c’è - un leader politico capace di dare profondità a questo insostituibile asset immateriale. E tuttavia molto concreto.
Link map: guido rossi|antitrust|conflitto|simulacro|com pàssus|we
29 dicembre 2008
Community organizer | Saul Alinsky
[ clicca sulle immagini | Saul Alinsky was born in Chicago in 1909 to Russian Jewish immigrant parents, the only surviving son of Benjamin Alinsky's second marriage to Sarah Tannenbaum Alinsky. He started at the University of Chicago in 1926, and eventually received a graduate fellowship in sociology, but didn't complete it ]

L’elemento che in Italia è stato analizzato poco o niente - allo scopo di farne tesoro - è quello del modello organizzativo della vittoria di Obama.
Mentre i partiti italiani si cesarizzano o si polverizzano, in America si procede a un’europeizzazione del sistema dei partiti, sempre più distinti nelle opzioni culturali e ideologiche, sempre più organizzati su una base di stabilità e continuità di lavoro tra un’elezione e l’altra [fino a poco tempo fa i partiti erano mere agenzie di sostegno elettorale a imprenditori politici che utilizzavano il franchising repubblicano o democratico].
Lo stesso Howard Dean aveva detto delle presidenziali: «Bisogna far finta che sia un’elezione diretta». Intendendo dire che ogni voto conta, che bisogna essere presenti ovunque anche dove non c’è speranza di prendere lo Stato e i relativi grandi elettori [negli Stati Uniti chi vince lo Stato, porta a casa tutti i delegati, tranne in uno]. E poi, cosa importante per uno che ha fatto le primarie del 2004 usando benissimo il web e le nuove tecnologie, Dean ha detto «Basta Tv, facciamo il porta a porta». Non esattamente il modello di politica americana che noi immaginiamo, dove il lavoro organizzativo di base è stare nei quartieri, esserci, parlare.
Obama ha cominciato la sua carriera politica come community organizer nei ghetti di Chicago, seguendo gli insegnamenti di un radicale non marxista come Saul Alinsky. Laddove il rapporto con la politica si riduce al voto di scambio o non esiste, le reti sociali di un quartiere o di una città vanno ricostruite su basi nuove: non bastano [o non sono credibili, o non esistono…] i partiti, servono persone inserite o capaci di inserirsi nei tessuti sociali, tecniche per farlo, educazione politica, continuità di lavoro, strumenti culturali per leggere la società nella quale si vive.
Obama vuole nazionalizzare questa sua esperienza locale: ha costantemente spronato il suo staff affinché costruisse la migliore organizzazione politica degli Stati uniti. A causa del colore della sua pelle la sua candidatura è stata una scommessa, vinta grazie all’organizzazione ancor prima che al messaggio: al di là del chiacchiericcio mediatico, i simboli che non hanno gambe e sostanza [o che non parlano più alle persone] durano molto poco.
![Saul Alinsky: «Il più grande nemico della libertà individuale è l'individualismo in se stesso» [dal prologo a "Rules for Radicals", di cui è pubblicata la copertina all'edizione del 1971]](/mediamanager/sys.user/17932/Alinsky%20rulesradicals.jpg)
La sostanza è tanto nell’organizzazione e nelle tecniche che la determinano, quanto in un profilo culturale che riscopre parole d’ordine ed elementi culturali che hanno sempre fatto parte della tradizione democratica e liberal. È come se si fosse cercato di risvegliare il progressista dormiente - e il suo orgoglio - in ogni elettore democratico americano. In questo modo Barack Obama ha saputo dare uno sbocco al disagio sociale e all’insofferenza di questi ultimi anni, ha saputo mobilitare milioni di persone, come i piccoli finanziatori della campagna, le centinaia di migliaia di volontari [5 milioni di volontari | 3 milioni di singoli finanziatori, pari all'1% della popolazione USA].
Sul successo di questa campagna, sul suo mix di modernità e lavoro territoriale di base occorrerebbe davvero riflettere: che sia un progetto vero, ingenuo, oppure di semplice opportunismo, Barack Obama rappresenta oggi un movimento che va in senso contrario al ciclo della shock economy, verso l’inclusione sociale e politica. Un’impresa molto difficile perché, va ricordato, la democrazia più antica del mondo è la più scrupolosa nel rendere impraticabili i diritti dei propri cittadini.
Link map: saul alinsky|jimmy wales|democrazia in america|how this happened
28 dicembre 2008
Community organizer | Jimmy Wales
[ click | Il 15 giugno 2001 Jimmy Wales e Larry Sanger, suo caporedattore, crearono Wikipedia ]

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Jimmy Wales
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5 dicembre 2008
november 5th, 2008 | watershed
[ Il primo post dedicato al futuro presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Hussein Obama, data l’8 gennaio 2008 | clicca sulle immagini ]
![Barack Obama, Sasha, Malia [le figlie] e Michelle [la moglie], ringraziano la sterminata folla di supporter riunita a Grant Park, il 5 novembre scorso](/mediamanager/sys.user/17932/Obama%20wins%20a%2008XI04.jpg)
Chi frequenta questo blog sa della netta preferenza espressa, fin dalla vittoria alle primarie Dem in Iowa, per Barack Hussein Obama. Sa soprattutto che non considero la sua elezione un evento tra gli altri, ma proprio il momento che gli storici individueranno per tracciare la cesura tra il novecento ed il XXI secolo. Un primo approccio ai cambiamenti tecnosociali che vedrà chi vivrà, nemmeno tanto a lungo termine, il III millennio.
In qualche occasione mi sono spinto ad ipotizzare un salto evoluzionistico della specie umana. Determinato dalla crescita di quanto il gesuita Pierre Teilhard de Chardin avrebbe forse attribuito al concetto di noosfera. Ovvero la progressiva connessione tra sistemi di pensiero:
I. accelerata dalla miniaturizzazione degli apparati tecnologici [sempre più simili a sinapsi cerebrali]
II. indotta dalle profonde trasformazioni che interverranno grazie alle biotecnologie ed alla lotta alla malattia condotta a livello di biotessuti [conseguente alla progressiva decodificazione della doppia elica del DNA, ed alle applicazioni che ne seguiranno, che vieppiù richiederanno un surplus di responsabilità in capo ai sistemi di interessi che ne possiederanno i brevetti ed il know how]
III. spinta dall’influenza che gli ambienti di social networking eserciteranno sulla struttura del pensiero umano, sulla sua sedimentazione in sequenze di apprendimento ed in relazione alla propria espansione nelle prassi organizzative [parliamo di oggi e di un domani già in fieri o, secondo il neologismo che propongo, di weltansharing].

Questo spartiacque [watershed] coinciderà simbolicamente con la data del 5 novembre 2008, prequel della presidenza Obama. Non per i poteri taumaturgici attribuiti ai re medievali, ma per effetto di transizione, del primo switch-off tra dinamiche sociali analogiche e movimenti evolutivi incorporati dall’ecologia delle reti.
Né senza contraddizioni e spinte contrastanti. Non appianando magicamente le fossé temporel, come immaginate da Joël de Rosnay [il gap creato dall'accelerazione delle economie avanzate].
Link map: social media lab|grassroot watershed|homo noeticus|re taumaturghi|fossé temporel
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