Diario
16 dicembre 2008
Danza sull'orlo del vulcano
[ click | La erre moscia contro l’accento emiliano. Oggi si sono riuniti allo stesso tavolo per cercare una convergenza contro la crisi economica. Spinti al fronte comune forse anche dalle foschissime previsioni del centro studi di Confindustria diffuse oggi: due anni di recessione, 600.000 lavoratori a casa ]

Non c’è da fare troppo gli schizzinosi. La crisi italiana è più grave e profonda di quella mondiale. Una recessione frutto di scelte mancate, oltre che della fine del ciclo della supply side economics, figlia della curva di Laffer.
È tempo di große koalition, se non in chiaro, certamente nei fatti. Nessuno degli schieramenti rappresentati in Parlamento ha la forza politica per intervenire in profondità. Ognuno, da solo, pagherebbe un prezzo elettorale esorbitante. Al termine del mandato.
Le energie per reagire ci sono: l’unica cosa che in Italia non manca è il patrimonio umano ed intellettuale. Manca invece, e drammaticamente, un’idea unificante di popolo e responsabilità condivise. Berlusconi questa cosa nemmeno sa come si pronuncia. Ma è lui che il corpo elettorale ha indicato per il compito che esercita [male, ma non sorprende]. È sua per intero la scelta di una collaborazione tra pari, e non tra pariah.
«È l'acosmismo il peccato più grave del pariah, questo ritirarsi in un suo rifugio quale l'arte, la fede, la lingua che crea mondi sublimi interiori, una libertà illusoria interiore che distrae e distoglie da quell'unica autentica libertà che si può avere nel mondo politico. La libertà del pariah non ha senso perché in essa non ci sono aspirazioni, né spazio per il desiderio umano di realizzare qualcosa su questa terra, fosse anche il solo organizzare la propria vita. Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità, o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana».
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2 giugno 2008
Er
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![Hannah Arendt [Hannover, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975]](/mediamanager/sys.user/17932/Arendt%20Hannah.jpg) «Nella speranza di riuscire a comprendere quale sia il luogo in cui l’io pensante è situato nel tempo e se la sua attività incessante sia determinabile temporalmente, mi rivolgo a una delle parabole di Kafka in cui, a mio parere, si tratta proprio questo. La parabola fa parte d’una raccolta di aforismi e ha il titolo Er | Egli*: Egli* ha due avversari; il primo lo incalza alle spalle, dall’origine, il secondo gli taglia la strada davanti. Egli combatte con entrambi. Veramente il primo lo soccorre nella lotta col secondo perché vuole spingerlo avanti, e altrettanto lo soccorre il secondo nella lotta col primo perché lo spinge indietro. Questo però soltanto in teoria, poiché non ci sono soltanto i due avversari ma anche lui stesso: e chi può dire di conoscere le sue intenzioni? Certo sarebbe il suo sogno uscire una volta, in un momento non osservato – è vero che per questo ci vuole una notte buia come non lo è mai stata – dalla linea di combattimento, e per la sua esperienza nella lotta essere nominato arbitro dei suoi avversari, che combattono tra loro. A mio avviso questa parabola descrive la percezione temporale dell’io che pensa. […] In questa situazione passato e futuro sono entrambi ugualmente presenti proprio perché ugualmente assenti ai sensi; così il non-più del passato, per effetto della metafora spaziale, si è trasformato in qualcosa che si trova dietro di noi e il non-ancora del futuro in qualcosa innanzi che si avvicina [il tedesco Zukunft, come l’avenir francese o l’avvenire italiano, significa, alla lettera “ciò che viene verso”]. In Kafka questa scena è un campo di battaglia dove le forze del passato si scontrano con quelle del futuro. Tra le une e le altre troviamo l’uomo che Kafka chiama “Egli”, il quale, se non vuole semplicemente desistere, deve dare battaglia ad entrambe. […] In questa lacuna tra passato e futuro noi troviamo il nostro luogo temporale quando pensiamo, cioè quando siamo sufficientemente discosti dal passato e dal futuro per confidare di penetrarne il significato, di assumere la posizione di “arbitro” e giudice sopra le vicende molteplici e senza fine dell’esistenza umana nel mondo, senza mai giungere a una soluzione definitiva dei loro enigmi, ma pronti ad apportare risposte sempre nuove alla domanda sul senso di tutto ciò».
Hannah Arendt, in La vita della mente, IV capitolo: Dove siamo quando pensiamo | La lacuna tra passato e futuro: il «nunc stans» | Il Mulino isbn 88-15-01510-8
*in Franz Kafka, Confessioni e diari | Mondadori 1972, pp. 811-812
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23 dicembre 2007
Theodidàktoi
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« Secondo Boris Vyseslavcev, il cuore “è il centro non soltanto della coscienza ma dell'inconscio, non soltanto dell'anima ma dello spirito, non soltanto dello spirito ma del corpo, non soltanto di ciò che è comprensibile ma di ciò che è incomprensibile; in una parola, è il centro assoluto [dell'essere umano]”.
Qual’è dunque, potremmo chiederci, il rapporto che lega la mente al cuore?
“Il tratto straordinariamente caratteristico del cristianesimo orientale”, scrive Vyseslavcev, “consiste nel fatto che per esso la mente, l'intelletto o la ragione, non è mai la base ultima, il fondamento della vita; la riflessione intellettuale su Dio non è una percezione religiosa autentica. I padri della chiesa orientale e gli starcy russi forniscono la seguente direttiva per vivere un'esperienza religiosa genuina: “Bisogna stare con la mente nel cuore” ».
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