Diario
3 aprile 2010
Bisogna fare il sacrificio di essere felici
22 marzo 2008
Ero mors tua, o mors [Osea 13,14]
Victimae Paschali laudes
immolent Christiani,
agnus redemit oves,
Christus innocens Patri
reconciliavit peccatores.
Mors et vitae
duello conflixere mirando
dux vitae, mortus, regnat vivus.
Dic nobis, Maria,
quid vidisti in via?
Sepulchrum Christi viventis
et gloriam vidi resurgentis;
angelicos testes
sudarium et vestes;
surrexit Christus, spes mea
praecedet vos in Galilaeam.
Scimus Christus surrexisse
a mortuis vere
Tu nobis, victor Rex, miserere.
Amen. Alleluia.
[ click | Osea 13,14 - 1Corinti 15,55: Sarò la tua morte, o morte / Ebrei 2,14 ]

Cosa significa questo secondo i Vangeli?
Che i credenti devono mostrare nella compagnia degli uomini la risurrezione, devono narrare agli uomini che la vita è più forte della morte, e devono farlo nel costruire comunità in cui si passa dall’io al noi, nel perdonare senza chiedere reciprocità, nella gioia profonda che permane anche nelle situazioni di pressura, nella compassione per ogni creatura, soprattutto per gli ultimi, i sofferenti, nella giustizia che porta a operare la liberazione dalle situazioni di morte in cui giacciono tanti uomini, nell’accettare di spendere la propria vita per gli altri, nel rinunciare ad affermare se stessi senza gli altri o contro di essi, nel dare la vita liberamente e per amore, fino a pregare per gli stessi assassini.
Perché il cuore della fede cristiana sta proprio in questo: credere l’incredibile, amare chi non è amabile, sperare contro ogni speranza.
Link map: victimae paschali laudes|noli me tangere|resurrexit|ero mors tua, o mors|rosarium virginis mariae|marialis cultus|supremi apostolatus officio|maryâm
21 marzo 2008
Elì, Elì, lemà sabactàni?
Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.
![Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» [Matteo 27,46]](/mediamanager/sys.user/17932/Elì%20Elì.jpg)
[ click ]
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio.
Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane.
don Tonino Bello
Link map: coraggio, fratello che soffri|gaudì|sinossi quadriforme
8 aprile 2007
Appunti per una domanda incompiuta
Scrive Carlo Maria Martini che la “terrenità” è la tentazione primaria della nostra epoca. “Talora mi sembra che uno dei versetti più trascurati del Vangelo sia la parola di Gesù ripetuta tre volte: «il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» [Matteo 6, 4 e 6 e 18]. Il senso di tale ricompensa e di quello che si compie nel segreto non influisce affatto. Tutto deve essere palese, tutto deve essere sulla scena, ripreso dalla televisione, recitato sul palcoscenico”. Per dedurne che: “L’offuscarsi della speranza nella vita eterna è la più grande prova del mondo occidentale e della chiesa occidentale. Non solo notte della fede, ma della speranza” [Nel dramma dell’Incredulità con Teresa di Lisieux. La notte della fede nel nostro tempo | a cura di Carlo Maria Martini, Guy Gaucher, Clément Olivier | 1997 | Ancora, ISBN 88-7610-623-5].
Non dissimilmente a quanto un ateo radicale, Guy Debord, morto suicida il 30 novembre 1994, scriveva contemporaneamente al primo dipanarsi del Concilio Vaticano II, pubblicando nel 1967 La société du spectacle:
«Senza dubbio, allo pseudobisogno imposto nel moderno consumo non può essere opposto nessun bisogno o desiderio autentico, che non sia esso stesso modellato dalla società e dalla sua storia. Ma la merce abbondante rappresenta la rottura assoluta dello sviluppo organico dei bisogni sociali. La sua accumulazione meccanica libera un artificaile illimitato, di fronte al quale il desiderio vivente resta disarmato. La potenza cumulativa di un artificiale indipendente comporta dovunque la falsificazione della vita sociale» [capitolo 3, Unità e divisione nell’apparenza, n° 68, ma se ne consiglia vivamente la lettura integrale].
O con Dossetti potremmo infine, convenire che:
«Al vuoto ideale e conseguentemente etico, si tenta dai più di compensare con la ricerca spasmodica di ricchezza: per molti al di là di ogni effettivo bisogno vitale, elevata a scopo a sé stessa. Si verifica così per parecchi ciò che la prima epistola a Timoteo [6,9] chiama il laccio di una bramosia insensata e funesta. Così, alla inappetenza diffusa dei valori - che realmente possono liberare e pienificare l’uomo - corrispondono appetiti crescenti di cose - che sempre più lo materializzano e lo cosificano e lo rendono schiavo. Questa è la notte, la notte delle persone: la notte davvero impotente, uscita dai recessi dell’inferno impotente, nella quale la persona è custodita rinchiusa in un carcere senza serrami [Sap 17,13.15]».
[Sentinella, quanto resta della notte? Di Giuseppe Dossetti, Milano - Città dell’uomo – il 18 maggio 1994, per l’anniversario del transito di Giuseppe Lazzati]
Cosa festeggeremmo, oggi, dunque, da cristiani?

Se il tema è la paura, la caduta della speranza, l’incognito o la terrenità, allora è certo che tutti i fantasmi agitati dall’evoluzione della creaturalità umana possano immobilizzare. Nonostante accade oggi quanto è sempre accaduto lungo l’arco temporale della vicenda umana. Direbbe il Qoelet [1,9]: Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole. Se per affermazione della speranza s’intenda il dominio dell’angoscia e non la liberazione delle facoltà umane verso il passaggio, la pessach ebraica, la pasqua cristiana. Il passaggio è sempre un esodo, un cammino, una tensione, un’indagine non completamente affidata al sé. Ed è un ascolto profondo, una compassione non pelosa, né volta alla rassicurazione tranquillizzante.
|